Pur nella sua singolare declinazione, l’opera di Sade s’inscrive apertamente nel contesto culturale dell’Illuminismo, non soltanto per il pertinace disegno volto a corrodere la patina metafisica delle norme morali, di cui viene continuamente svelato il carattere di “necessaria convenzione”; ma anche per l’imperativo fermo di ricondurre l’uomo al centro del discorso umano, di sottrarlo al ricatto del trascendente che ne conforma le aspirazioni e la volontà.
L’impianto filosofico di Sade, come è noto, si esprime attraverso il simbolo sessuale in termini di dialettica della sopraffazione e della violenza fisica su quel prossimo iper-tutelato dall’apodittica religiosa. Sade si ribella a Dio e ad ogni autorità sovrana; la sua lezione è radicale e attraversa con prepotenza la vita. Condannato più volte, trascorre anni importanti dell’esistenza in prigione. La cultura popolare, assecondata dal rancore dei poteri istituzionali, raccoglie soltanto una proiezione minima del pensiero di Sade, quel massimario degli istinti umani più “abissali” che immobilizza il personaggio come demoniaca ipostasi di quella nozione poco scientifica e molto moralista che è la “perversione”.
Nelle note di regia del suo Sade. Opus contra naturam Enrico Frattaroli si dichiara ben avvertito di questa vulgata banalizzante che sintetizza maldestramente nel vocabolo “sadismo” un pensiero molto più complesso. La concezione del lavoro di Frattaroli sembra tuttavia ripiegare immediatamente su una facile leggibilità del testo sadiano, concentrandosi sull’elemento iconografico di maggior effetto. La drammaturgia si limita infatti all’esposizione del pensiero di Sade ricavata attraverso un ragionato intreccio di frammenti da Justine e da Juliette, che viene affidata a due sacerdoti-corifei presenti sulla scena; mentre lo stesso Frattaroli si sovrappone all’io narrante di Sade, eseguendo una serie di azioni “sadiche” sulle vittime sacrificali prescelte − tra le quali va menzionato l’ottimo Galliano Mariani nei panni di un sacerdote che si divincola dalla dottrina antagonista con maggior enfasi che dalle sevizie corporali. L’effetto, in verità piuttosto prevedibile, è quello della lettura di un libro con didascalie animate; la partitura scenica obbedisce rigidamente allo scritto e non sembra ricercare simboli che vadano oltre la lettera del testo.
A parte la dimensione filosofica, resta da considerare la potenza estetica del pensiero rivoluzionario di Sade che irrompe in un sistema culturale impreparato a coglierne il senso. In una certa misura Frattaroli ripristina questa tensione proponendo sulla scena situazioni che invadono la sfera del “disturbante”: nudità di corpi sovrabbondanti, sodomie a colpi di bastone, morsicature di genitali, ed altre occorrenze che possano “scuotere” uno spettatore di due secoli più giovane dei primi lettori di Sade. Ma anche questo elemento si realizza solo in parte; nella scena in cui il protagonista si abbevera del vino con cui ha appena sciacquato le parti intime del sacerdote-vittima − scena che sembra destinata a far salire l’adrenalina del pubblico − due anziane signore in prima fila commentano senza scomporsi la similitudine iconografica con la messa cristiana.
Molto pregevole invece l’installazione scenografica, che sfrutta un ampio salone del Real Albergo dei Poveri per creare una scena di profondità indefinita la cui graduale oscurità culmina nei bagliori di una ghigliottina posizionata sul fondo, che sarà naturalmente il luogo del sacrificio finale. A questo proposito sembra irriverente nei confronti di Sade consumare l’ultima brutalità sulle note calanti della Marsigliese. Se è vero che il divin marchese rischiò d’esser giustiziato durante il regime del Terrore, è anche vero che fu un pensatore politico di grande modernità, autore di un perspicace saggio sulla Repubblica ove si dichiara contrario alla pena di morte. Per questi aspetti originali e misconosciuti, non soltanto per la consueta pantomima sessuocentrica, avremmo sperato che si ricordasse la figura di Donatien Alphonse François de Sade.
Real Albergo dei Poveri - Napoli, 12 giugno 2009